Roma – C’è anche Raoul Bova tra coloro che intrattenevano conversazioni telefoniche con l’ex membro del Consiglio superiore della magistratura Luca Palamara. Tra le intercettazioni che riporta il Corriere della Sera c’è infatti una chat di Whatsapp. “Ti prego di indagare su questa sentenza”, scrive l’attore, “la trovo un’ingiustizia senza precedenti. Tutti assolti tranne me”, con un messaggio inviato il 25 luglio 2017 alle 10.03. Il magistrato alle 10.18 lo rassicura: “Non finisce qui. Non bisogna mollare ora”. E alle 10.21 aggiunge: “Sono veramente rammaricato”.

I giudici romani avevano chiesto la condanna per Raoul Bova a un anno di carcere con l’accusa di aver evaso 680mila euro al fisco nel quinquennio 2005-2010. Poche settimane prima, il 30 giugno 2017, Bova invita il magistrato “alla serata che ti dicevo”. Palamara risponde che sta “cercando di organizzarsi”. Ma forse è occupato, e allora propone un “aperitivo il 3”. L’attore però insiste: “Fammi sapere per il 9 per organizzare l’ospitalità. Sarà una serata molto bella e come rappresentante delle istituzioni sarebbe un segno tangibile e di speranza per chi vuole credere nella legalità”. Il 5 luglio però arriva la notizia della richiesta di condanna e Bova scrive a Palamara alle 17.56: “Come al solito i giornalisti. Non si smentiscono mai”. L’ex pm commenta: “Purtroppo una piaga”.

Il 25 luglio arriva la condanna. L’attore dice a Palamara: “Valsecchi ha avuto quello che voleva”. Palamara cerca di rassicurarlo, ma l’attore romano insiste: “Ma ti chiedo di verificare se ho meritato una condanna così dura. Così mirata. È stata considerata una manovra premeditata. Sono sotto shock. Ma in tutto questo il commercialista non ha alcuna responsabilità?”. Nei giorni successivi Bova esprime la propria preoccupazione “perché mi stanno annullando molti contratti, vorrei scrivere qualcosa” e gli manda un comunicato stampa, chiedendogli un parere. E Palamara risponde: “Ci sentiamo in serata”.

Bova era accusato di ‘dichiarazione fraudolenta mediante artifici’. Il giudice monocratico ha concesso la non menzione e la sospensione della pena. Secondo gli inquirenti tra il 2005 e il 2011 si sarebbe verificata un’evasione di quasi 700mila euro. Bova era sospettato di aver trasferito alcuni costi alla società che gestisce la sua immagine, la Sammarco Srl, con un artificio finanziario. Dalla simulazione della cessione di alcuni diritti sui film, fino alla simulazione dell’esistenza del diritto a ottenere sgravi fiscali, in modo da eludere il fisco, attraverso il pagamento di un’aliquota Iva più bassa.

Commentando il pronunciamento del giudice, l’avvocato dell’attore, Giulia Bongiorno, aveva detto “la sentenza di oggi ha escluso che Raoul Bova abbia mai emesso fatture per operazioni inesistenti, quindi l’accusa relativa a presunte operazioni fittizie, che costituiva il cuore del processo, è stata sbriciolata dalla sentenza di assoluzione”, dicendosi certa che l’appello avrebbe ribaltato la sentenza di primo grado. La Sammarco Srl è una società il cui 20% faceva riferimento all’attore stesso e il restante 80% a sua sorella Tiziana. L’altra sorella, Patrizia, figurava come amministratore delegato.