Roma – 42 milioni di euro. È la somma versata all’Agenzia delle entrate da Google, Amazon, Facebook, Apple, Airbnb, Uber e Booking.com per i guadagni del 2019. La cifra è cresciuta di molto rispetto agli 11 milioni del 2016 (dopo che la procura li aveva costretti a patteggiare arretrati erariali per quasi un miliardo), tuttavia i colossi del web godono ancora di un’aliquota piuttosto bassa rispetto agli enormi guadagni che realizzano in tutto il mondo, Italia compresa.

Quella della Web tax è quindi una questione ancora tutta da risolvere, sebbene alcuni Paesi, come Francia, Germania e Gran Bretagna, abbiano talvolta ottenuto dei parziali rimborsi delle imposte dovute. Il tema è ora sul tavolo dell’Ocse, che cercherà di imporre a queste multinazionali di pagare le tasse nel Paese dove si generano i fatturati, invece che nei paradisi fiscali.

Il tentativo dell’Ocse potrebbe però essere ostacolato dagli Usa: Trump era riuscito infatti a riportare parte delle entrate mancate con una sanatoria che ha legalizzato le somme offshore dei colossi tech pagando solo una tassa del 5,25%. Ora però si è schierato in difesa dei colossi digitali, minacciando di ritorsioni chiunque tenti di introdurre una web tax nazionale (come la Francia).