Roma – Lo scorso 24 dicembre il Senato ha approvato la Legge di bilancio per il 2022. Tra le principali novità introdotte, anche una norma anti-delocalizzazione per tutte quelle imprese che intendono spostare la produzione all’estero. Coinvolte le fabbriche e le aziende con almeno 250 dipendenti, intenzionate a chiudere uno stabilimento e a licenziare almeno 50 lavoratori.

L’introduzione della nuova norma impone al datore di lavoro l’obbligo di comunicare per iscritto la volontà di cessare l’attività con almeno 90 giorni di preavviso. La notifica deve essere inoltrata ai sindacati e alle regioni competenti, al ministro del Lavoro, al ministero per lo Sviluppo economico e all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal).

Senza una comunicazione preventiva, i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi vengono considerati nulli. Le aziende intenzionate a delocalizzare devono inoltre presentare entro 60 giorni dalla comunicazione di cessata attività un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura. Nel caso in cui non vengano rispettati i nuovi obblighi previsti dalla Legge di bilancio, i datori di lavoro incorreranno in sanzioni.

Come riferisce la testata Informazione Fiscale, in caso di mancati accordi sindacali il datore di lavoro “è costretto a pagare una somma pari al 50% del trattamento mensile di AspI (indennità mensile di disoccupazione) per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”. Se invece non viene presentato il piano di limitazione delle ricadute occupazionali o viene presentato incompleto, il datore di lavoro “dovrà pagare il contributo di licenziamento in misura pari al doppio”.