Los Angeles (Usa) – Giunge al termine la class action intentata dai dipendenti di Riot Games nel 2018. Il publisher, che nel 2009 aveva lanciato League of Legends, era stato denunciato nel 2018 da oltre un migliaio di dipendenti donne, che hanno lamentato discriminazioni sessuali subite sul posto di lavoro. Sotto accusa mail esplicite, commenti inappropriati e classifiche sul grado di avvenenza delle colleghe, che si ripercuotevano anche su assunzioni e promozioni. A evidenziare queste pratiche, avvenute perlopiù nella sede centrale di Riot Games, a Santa Monica, in California. Secondo il Department of Fair Employment and Housing (Dfeh) della California, le violazioni hanno riguardato 1.065 dipendenti e circa 1.300 collaboratrici.

Ora tra le parti finalmente è accordo: tra le associazioni e le impiegate che hanno lavorato in azienda dal 2014 a oggi saranno distribuiti 80 milioni di dollari, senza alcuna differenza tra i contratti a tempo indeterminato e le collaborazioni a termine. I restanti 20 milioni serviranno a coprire le spese legali.

Intanto la società ha pubblicato sul suo sito una lettera a dipendenti, prendendo atto delle proprie colpe. “Abbiamo dovuto riconoscere di non essere sempre stati all’altezza dei nostri valori”, ha scritto il ceo Nicolo Laurent. “Ci siamo trovati di fronte a un bivio: potevamo negare i difetti della nostra cultura, oppure potevamo chiedere scusa, correggere la rotta e costruire un ambiente migliore. Abbiamo scelto la seconda opzione e ci assumiamo la responsabilità del passato, con la speranza che questo accordo riconosca in maniera adeguata coloro che hanno vissuto esperienze negative con Riot, e che dimostri il nostro desiderio di dare l’esempio nel diffondere una maggior uguaglianza nell’industria dei videogiochi”.