Roma – Oggi, lunedì 14 marzo, nel giorno in cui dovevano protestare gli autotrasportatori, poi precettati e costretti a rinunciare allo sciopero (salvo qualche eccezione), la Procura di Roma ha avviato un’indagine intorno agli aumenti di gas, carburante ed energia elettrica. Piazzale Clodio ha affidato gli accertamenti al nucleo della polizia economico-finanziaria di Roma. Il Codacons ha nel frattempo depositato un esposto in 104 Procure distribuite sul territorio nazionale, unitamente a una denuncia all’Autorità Garante della Concorrenza. “In questi giorni i listini dei carburanti venduti presso i distributori sono letteralmente fuori controllo, con la benzina che in modalità self viaggia verso i 2,30 euro al litro e costa in media il 39,3% in più rispetto allo stesso periodo del 2021, mentre il gasolio sale addirittura del 51,3%”, ha dichiarato il presidente dell’associazione Carlo Rienzi. In questa stessa data, il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, non dedicava all’emergenza energetica nemmeno una riga. Non un articolo, né un trafiletto o un richiamo. Un silenzio assordante.

Eppure, i segnali di un’economia di guerra sono forti e chiari. Il premier Draghi tenta in qualsiasi modo di mettere la sordina alle polemiche, ma un intervento a favore dell’eliminazione delle accise non c’è stato. Si paventano già tempi di austerity, in un revival di quanto i più anziani ricordano in merito alle domeniche a piedi degli Anni Settanta, con circolazione vietata alle auto private nei giorni festivi, velocità limitata a 100 Km orari, insegne luminose spente per decreto, lampioni al 40%, chiusura serale di cinema e bar, e addirittura delle trasmissioni Rai, che finivano alle 23.

Di contro, leggiamo le reazioni degli americani, e restiamo sorpresi. Più che la guerra in Ucraina, gli analisti dei mercati hi-tech temono che il comportamento di Putin possa indurre una sorta di atteggiamento imitativo nella Cina, che mira all’industria dei chip di Taiwan. È qui infatti che si concentra il 20% della produzione globale, ma soprattutto la parte di maggior qualità dei semiconduttori, senza la quale le grandi multinazionali dell’elettronica di consumo non sarebbero in grado di sfornare i prodotti più performanti. Conosciamo l’atteggiamento di chi opera nelle grandi società di analisi di mercato del mondo anglosassone: spesso è una gara a rifuggire quanto è già stato detto, perché le consulenze hanno un prezzo, ed è tanto più elevato più ci si smarca dalle discussioni predominanti nei contenitori generalisti. Ma, ci domandiamo, davvero la guerra in Ucraina non viene vista come un pericolo per l’economia interna statunitense? Eppure anche negli Usa l’aumento dei costi del carburante sta per produrre un’ulteriore impennata all’inflazione galoppante.

Il tema che gli analisti in questo momento non osano affrontare è quello di un prolungarsi del conflitto, e di una sua estensione. Di una balcanizzazione dell’Est Europa, che trascinerebbe fatalmente con sé anche i paesi di area Ue confinanti con il fronte dell’attuale conflitto. In quei territori, è bene ricordarlo, è concentrata oggi una parte molto significativa di alcune produzioni destinate al mercato europeo. Pensiamo alla Polonia (e al segmento del bianco). O alla Romania. Senza dimenticare che l’Ucraina è pur sempre un giacimento essenziale di materie prime, tra cui il palladio, metallo raro dello stesso gruppo del platino, utilizzato nelle telecomunicazioni (nei sistemi di commutazione), nei contatti elettrici, e in molte lavorazioni ad alta tecnologia.

La grande domanda allora è quella a cui nessuno sa dare una risposta. Quanto durerà questa guerra? Quanto si allargherà? Diventerà endemica? Perché è inutile negarselo: anche rimanendo al perimetro dell’hi-tech e dell’elettronica di consumo, è chiaro che la propensione all’acquisto, che ha retto col Covid, e in qualche caso è addirittura aumentata, a causa di smart working e DaD, avrà una brusca diminuzione, se non un crollo. Il mondo delle tecnologie è, non giriamoci attorno, energivoro. È un prodotto della società del benessere. E non ha cittadinanza in un’economia di guerra. Mentre assistiamo alle scelte del nostro governo, che invia armi al fronte, interroghiamoci sulla lungimiranza di questa scelta. Tutti abbiamo a cuore la sorte della popolazione ucraina. Ma una lunga guerra rischia sì di distruggere la nazione vessata dai bombardamenti, soprattutto nelle aree che Putin non ritiene strategiche, e nel contempo costituisce una minaccia molto più grande del Covid per la nostra economia. Contro la guerra non c’è cura, se non la pace.